Roma, 1 Dicembre 2016.
Il gravissimo incidente di Messina con 3 morti ed un altro lavoratore in grave pericolo, rischia come molti altri morti sul lavoro di occupare le pagine dei giornali per un giorno e lasciare il dolore ai famigliari per una vita intera.
La magistratura compirà le indagini come deve essere ed accerterà (forse) le responsabilità. Ma il Sindacato, la politica, le imprese non possono solo attendere di conoscere le ragioni e, se vi sono, i colpevoli di quanto avvenuto.
Si passa troppo rapidamente dalla denuncia all’oblio. Così come avvenuto dopo i recenti incidenti mortali di lavoratori nei porti di Livorno e Salerno.
A Messina sembra chiaro che le persone che sono morte non dovevano essere là e non avevano le competenze necessarie per intervenire in sicurezza pur essendo ufficiali di comando.
La nave aveva già subito manutenzione ed era ferma al molo che, per crudele presagio, si chiama Norimberga.
Non siamo in presenza né di appalti né subappalti nè tantomeno di personale incapace di conoscere cosa avviene su una nave.
Come non sappiamo ancora se la valutazione dei rischi per quella nave e per quelle attività così pericolose era stata fatta.
Non siamo nemmeno di fronte ad una fatalità (esistono anche quelle) o ad un errore umano. Perché l’errore umano esiste solo se non si adottano procedure rigorose.
I morti di Messina sono anche dovuti alla solidarietà umana che lega chi soccorre a chi è in pericolo. Come spesso è avvenuto in casi analoghi.
Dobbiamo centrare il cuore del problema.
La magistratura avrà i suoi tempi, ma quello su cui dobbiamo agire, ora non dopo l’oblio, è una azione dei confronti del Governo ed in primo luogo del Ministero dei Trasporti e del Ministero del Lavoro.
Il DLGS 81 non identifica come “luogo di lavoro” quelli dei mezzi di trasporti. E negli “spazi o ambienti confinati” che valgono per cunicoli, pozzi, serbatoi e simili, non si ricomprendono le stive delle navi.
Il DLGS 272/99 prevede poi solo per i porti e nei casi di presenza di merce rinfusa l’obbligo di ispezione preventiva da parte del “chimico di porto”.
Si sono attesi per anni i decreti attuativi specifici del DLGS 81 sino a decidere il governo, con procedimento ad hoc, che gli stessi non avevano più obbligo di emanazione lasciando quindi scoperti interi settori quali ferrovie, porti, marittimi. Che quindi applicano o riferimenti di legge molto generali o certamente parziali.
Decreti che in realtà, negli anni scorsi erano stati oggetto di un approfondito e serio esame da parte del Ministero dei Trasporti e Ministero del Lavoro cui avevamo non solo partecipato, ma verso cui avevamo dato un sostanziato consenso e che riportavano le norme specifiche anche per le navi e gli “spazi confinati”.
Testi che però si sono fermati nei cassetti di qualche stanza privi della indispensabile spinta politica a renderli attuativi.
Ma anche quei decreti, e la norma in materia di salute e sicurezza che è sempre imprescindibile, potrebbero non essere in grado di evitare qualunque fattore di rischio.
Serve quindi quella che definiamo “cultura della sicurezza” che nei nostri settori non può mai, ripeto mai, essere delegata al singolo lavoratore, che sia ufficiale o operaio, o data a una singola responsabilità.
Ma è una cultura che parte dalle norme e dalle procedure sulla sicurezza e diventa parte integrante e sostanziale delle organizzazioni del lavoro.
Se le norme restano separate da organizzazione del lavoro/competenze/
responsabilità, avremo sempre un rischio presente.
Non fare cadere nell’oblio è responsabilità diffusa di tutti noi, ovviamente intendendo non solo la Filt ma tutto il sindacato.
E va dato atto al Presidente della Repubblica Mattarella delle parole appropriate e nette che ha usato.
Per queste ragioni domani venerdì 2 dicembre alle 11.00 abbiamo indetto in tutta Italia ed in contemporanea una azione, pur se simbolica e silenziosa, di protesta.
Chiediamo a tutto il settore portuale e marittimo di dedicare 5 minuti di fermo attività.
Chiediamo che le navi nei porti azionino le sirene e che tutti i lavoratori portuali e marittimi, interrompano la propria attività insieme alle 11.
Rendiamo visibile il più possibile che il sindacato c’è, che i lavoratori ci sono.
A memoria, non solo mia, è la prima volta che indiciamo una iniziativa nazionale di dei settori portuali e marittimi.
Insieme dobbiamo riaprire con il Governo, chiedendo l’intervento anche delle Confederazioni, centrando non su una generica protesta ma in specifico sul tema della emanazione dei decreti.
Si riprendano i decreti attuativi fermati colpevolmente e si dia atto che la normativa attuale non può essere sufficiente .
Sta qui la nostra azione sindacale: denuncia, protesta, obiettivi.
Qui sta non solo il nostro cordoglio per le morti ma la nostra risposta in loro memoria.
Il gravissimo incidente di Messina con 3 morti ed un altro lavoratore in grave pericolo, rischia come molti altri morti sul lavoro di occupare le pagine dei giornali per un giorno e lasciare il dolore ai famigliari per una vita intera.
La magistratura compirà le indagini come deve essere ed accerterà (forse) le responsabilità. Ma il Sindacato, la politica, le imprese non possono solo attendere di conoscere le ragioni e, se vi sono, i colpevoli di quanto avvenuto.
Si passa troppo rapidamente dalla denuncia all’oblio. Così come avvenuto dopo i recenti incidenti mortali di lavoratori nei porti di Livorno e Salerno.
A Messina sembra chiaro che le persone che sono morte non dovevano essere là e non avevano le competenze necessarie per intervenire in sicurezza pur essendo ufficiali di comando.
La nave aveva già subito manutenzione ed era ferma al molo che, per crudele presagio, si chiama Norimberga.
Non siamo in presenza né di appalti né subappalti nè tantomeno di personale incapace di conoscere cosa avviene su una nave.
Come non sappiamo ancora se la valutazione dei rischi per quella nave e per quelle attività così pericolose era stata fatta.
Non siamo nemmeno di fronte ad una fatalità (esistono anche quelle) o ad un errore umano. Perché l’errore umano esiste solo se non si adottano procedure rigorose.
I morti di Messina sono anche dovuti alla solidarietà umana che lega chi soccorre a chi è in pericolo. Come spesso è avvenuto in casi analoghi.
Dobbiamo centrare il cuore del problema.
La magistratura avrà i suoi tempi, ma quello su cui dobbiamo agire, ora non dopo l’oblio, è una azione dei confronti del Governo ed in primo luogo del Ministero dei Trasporti e del Ministero del Lavoro.
Il DLGS 81 non identifica come “luogo di lavoro” quelli dei mezzi di trasporti. E negli “spazi o ambienti confinati” che valgono per cunicoli, pozzi, serbatoi e simili, non si ricomprendono le stive delle navi.
Il DLGS 272/99 prevede poi solo per i porti e nei casi di presenza di merce rinfusa l’obbligo di ispezione preventiva da parte del “chimico di porto”.
Si sono attesi per anni i decreti attuativi specifici del DLGS 81 sino a decidere il governo, con procedimento ad hoc, che gli stessi non avevano più obbligo di emanazione lasciando quindi scoperti interi settori quali ferrovie, porti, marittimi. Che quindi applicano o riferimenti di legge molto generali o certamente parziali.
Decreti che in realtà, negli anni scorsi erano stati oggetto di un approfondito e serio esame da parte del Ministero dei Trasporti e Ministero del Lavoro cui avevamo non solo partecipato, ma verso cui avevamo dato un sostanziato consenso e che riportavano le norme specifiche anche per le navi e gli “spazi confinati”.
Testi che però si sono fermati nei cassetti di qualche stanza privi della indispensabile spinta politica a renderli attuativi.
Ma anche quei decreti, e la norma in materia di salute e sicurezza che è sempre imprescindibile, potrebbero non essere in grado di evitare qualunque fattore di rischio.
Serve quindi quella che definiamo “cultura della sicurezza” che nei nostri settori non può mai, ripeto mai, essere delegata al singolo lavoratore, che sia ufficiale o operaio, o data a una singola responsabilità.
Ma è una cultura che parte dalle norme e dalle procedure sulla sicurezza e diventa parte integrante e sostanziale delle organizzazioni del lavoro.
Se le norme restano separate da organizzazione del lavoro/competenze/
responsabilità, avremo sempre un rischio presente.
Non fare cadere nell’oblio è responsabilità diffusa di tutti noi, ovviamente intendendo non solo la Filt ma tutto il sindacato.
E va dato atto al Presidente della Repubblica Mattarella delle parole appropriate e nette che ha usato.
Per queste ragioni domani venerdì 2 dicembre alle 11.00 abbiamo indetto in tutta Italia ed in contemporanea una azione, pur se simbolica e silenziosa, di protesta.
Chiediamo a tutto il settore portuale e marittimo di dedicare 5 minuti di fermo attività.
Chiediamo che le navi nei porti azionino le sirene e che tutti i lavoratori portuali e marittimi, interrompano la propria attività insieme alle 11.
Rendiamo visibile il più possibile che il sindacato c’è, che i lavoratori ci sono.
A memoria, non solo mia, è la prima volta che indiciamo una iniziativa nazionale di dei settori portuali e marittimi.
Insieme dobbiamo riaprire con il Governo, chiedendo l’intervento anche delle Confederazioni, centrando non su una generica protesta ma in specifico sul tema della emanazione dei decreti.
Si riprendano i decreti attuativi fermati colpevolmente e si dia atto che la normativa attuale non può essere sufficiente .
Sta qui la nostra azione sindacale: denuncia, protesta, obiettivi.
Qui sta non solo il nostro cordoglio per le morti ma la nostra risposta in loro memoria.